NELLA REGIONE MARCHE VIA LIBERA ALL’APERTURA DELLA CACCIA IN FORMA COLLETTIVA AL CINGHIALE, LE ASSOCIAZIONI AL PREFETTO D’ACUNTO:  “PER UNA ATTIVITA’ LUDICA, SI METTE A RISCHIO LA SALUTE DEI CITTADINI. RITIRI L’AUTORIZZAZIONE”.
“La scelta di riaprire la caccia, in particolare quella in forma collettiva al cinghiale con libera mobilità in tutta la regione e con la reale impossibilità di distanziamento sociale, viola quel principio di precauzione necessario nel contenere ogni rischio di diffusione del Covid-19 e nel nome del quale tutti i cittadini hanno dovuto rinunciare alle proprie attività, persino ad una gita fuori del proprio comune di residenza. Per questo preghiamo l’Ill.mo sig. Prefetto, Antonio d’Acunto, a rivedere tale pericolosa autorizzazione”. Questo il commento delle associazioni firmatarie della lettera nei confronti del via libera dato dal Prefetto per la riapertura della caccia in forma collettiva al cinghiale,  rispondendo ad una irresponsabile richiesta della regione e dell’Assessore alla caccia Carloni che evidentemente, pur di favorire la piccola lobby venatoria è disposto a mettere a rischio la salute dei cittadini.
“Occorre chiarire che si sta autorizzando una mera attività ludico ricreativa con il pretesto di controllare il numero dei cinghiali pur sapendo che gli abbattimenti, che vanno avanti da oltre 25 anni, hanno contribuito a creare fenomeni come maggiore prolificità e dispersione del branco che  hanno invece aumentato il numero degli esemplari, come dimostrato da noti studi scientifici. Niente a che vedere quindi con l’applicazione dell’ art 19 della legge 157 del 1992 sulla gestione faunistica, la quale è esercitata con metodi ecologici” .
Nelle forme di caccia collettive, i cacciatori arrivano in gran numero, si riuniscono, discutono, entrano in stretto contatto tra loro, anche per prelevare gli esemplari uccisi – del peso di più di un quintale, operazione non fattibile mantenendo le distanze di sicurezza e dovendo anche indossare la mascherina. “Persone che entrano inevitabilmente a stretto contatto tra di loro, e che potrebbero diffondere poi la positività al virus ad amici e parenti, considerando anche l’età generalmente avanzata dei cacciatori stessi, che li espone a notevoli rischi per la loro salute”.
“Il DPCM parla chiaro: nelle zone arancioni si può uscire fuori dal comune di residenza solo per comprovate ragioni di studio, lavoro, salute o necessità. L’esercizio della caccia non rientra certo tra queste, né tra le attività “sportive” per le quali tra l’altro non è prevista deroga a spostamenti in tutta la regione. Siamo consapevoli del difficile momento e delle emergenze a cui l’ill. sig. Prefetto è chiamato a rispondere. Tuttavia, chiediamo fermamente di rivedere tale decisione, che privilegia un piccolo numero di cittadini a dispetto di chi sta rinunciando ad ogni attività che, seppur piacevole, in questo periodo potrebbe essere pericolosa.”.
20 novembre 2020
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