Il lago di Pilato nel Parco Nazionale dei Sibillini


Si avverte uno strano clima di rassegnazione sul sipario che sta calando sui Parchi. Un silenzioso sipario reso ancor più invisibile dai nuovi fermenti che fanno invece sperare in un risveglio delle coscenze anestetizzate degli italiani.
Il crollo di un monumento di Pompei ha giustamente richiamato l’attenzione sui colpevoli tagli alla cultura. Sono scesi in piazza addirittura gli attori. E per loro si è mobilitato anche il Presidente della Repubblica. Pochi si sono chiesti se sia giusto che lo Stato finanzi Pompei (tra i siti archeologici più visitati al mondo!) o addirittura il cinema. Né tanto meno a qualcuno è venuto in mente di chiudere i siti archeologici o i musei che funzionano male o sprecano risorse. La risposta è stata corale e scontata: la cultura è ricchezza. Come lo sono l’istruzione e la ricerca. Ai tagli alla cultura sono stati dedicate intere puntate di programmi televisivi, come anno zero e vieni via con me.
Per i Parchi naturali, invece, le reazioni sono state finora molto, troppo timide (o moderate, come qualcuno preferisce definirle). Certo, a differenza dei siti archeologici, i parchi hanno, per ovvie ragioni, diversi nemici. Ma strani segnali e diffidenze giungono anche da parte del mondo ambientalista e, cosa ancor più singolare, da quello degli stessi Parchi. Dopo il taglio estivo del 50% delle risorse (già in precedenza ridotte al limite della sopravvivenza), lo scorso 9 novembre il ministro Prestigiacomo aveva pubblicamente dichiarato che il taglio era frutto di un errore, annunciando il reintegro di tali risorse da parte del parlamento. Ma così non è stato. Il reintegro approvato alla Camera e all’esame del Senato è inadeguato e, per giunta, assicurerebbe solo la copertura delle spese cosidette “obbligatorie”. Restano solo 7 milioni per attività strategiche di tutti e 23 i parchi nazionali. Alla fine del 2010 i Parchi si trovano ancora  senza alcuna certezza sui finanziamenti per il 2011 che, nella migliore delle ipotesi, potrebbero comunque coprire solo gli stipendi dei dipendenti e pochi altri contratti già in corso. Per non parlare dei tagli agli organici (in molti casi già inadeguati in relazione alla complessità dei compiti istituzionali) e alle continue norme che introducono sempre nuovi ostacoli alle attività degli enti.
In questo quadro, che sà molto di transizione verso la trasformazione dei Parchi in enti inutili, la beffa del reintegro fantasma ci viene presentato come una concessione, un importante risultato della politica moderata in tempi di crisi economica. E serpeggiano le ipotesi più fantasiose (o stravaganti) su possibili scenari, che vanno dall’autofinanziamento alla privatizzazione, dai biglietti alle entrate dei parchi alla modifica della legge quadro, a possibili introiti derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali, come nell’idroelettrico.
E’ strano come il tema dei Parchi entri ormai solo raramente nel dibattito sulle questioni ambientali. I riflettori sono puntati sulle catastrofi e sull’energia, troppo spesso solo all’esterno tinta di verde, anzi di “green”. Proliferano (fortunatamente) comitati di cittadini che si oppongono al consumo sfrenato e al degrado del proprio territorio e alla tutela dei beni comuni, come l’acqua. Ma sfugge la centralità che i Parchi dovrebbero avere nelle politiche ambientali, dimenticando che essi sono molte cose insieme: scrigni di biodiversità, cultura e beni comuni; laboratori privilegiati per sperimentare modelli economici alternativi; tutela della salute e prevenzione dei rischi ambientali.  Anche se l’estinzione di una specie vivente non fa rumore quanto il crollo di un monumento, un Parco è molto più di un museo, di un centro storico o di un sito archeologico. E una specie estinta non potrà essere restaurata, nemmeno nei periodi di massima prosperità economica. Nei Parchi si progettano speranze di futuro.  Sconfiggerli significa sconfiggere queste speranze. I Parchi rappresentano sacche di resistenza all’omologazione, allo sviluppismo senza regole e alla privatizzazione dei beni comuni. Quindi anche alle mafie, alle speculazioni come al Circeo e alle discariche di Terzigno. Resistenza fatta da gente che quotidianamente opera nell’ombra tra infinite difficolta. E da uomini come Angelo Vassallo. Discutere di ambiente senza parchi è come discutere di cultura senza teatri, di salute senza ospedali, di istruzione senza scuole.
Eppure, nell’Anno internazionale della biodiversità, il sipario continua a calare sui parchi italiani. Nel silenzio.
Alessandro Rossetti
socio dell’Associazione 394 del personale delle aree protette