BIODIGESTORE? NON SIA LA LOGICA DEL PROFITTO A GUIDARE LE SCELTE AMBIENTALI

In questi giorni si fa un gran parlare di Biodigestore, con le prime lecite perplessità dei territori locali, possibili destinatari del nuovo impianto, necessario per la gestione e lo smaltimento, per tutta la provincia pesarese, sia dei rifiuti organici, sia delle potature e ramaglie.

Con anni di ritardo, viene proposta una tipologia di impianto, ma senza nessuna discussione e condivisione.

In questa fase, infatti, Marche Multiservizi sta spingendo per sostituirsi ad ASET, inizialmente individuata per l’affidamento del Biodigestore, e si sta consumando una silenziosa battaglia tra aziende di servizio, che dovrebbero essere espressione delle istituzioni locali.

Ma non è proprio sempre così, perché dietro Marche Multiservizi, è il socio privato HERA a guidare il gioco con il suo 46% di proprietà, dato che la restante proprietà, anche se pubblica, è frammentata tra numerosi enti locali e il principale azionista, il comune di Pesaro che detiene il 25%, appare più orientato alla distribuzioni di utili a fine anno (soldi facili e spendibili senza tanti vincoli!) piuttosto che a orientare le scelte della “propria” azienda di servizi verso una gestione dei rifiuti sostenibile.

Sia lo studio di fattibilità nuovamente presentato da ASET, sia il progetto di Marche Multiservizi, infatti, sono costruiti sul presupposto di effettuare un bell’investimento che possa rientrare delle spese il prima possibile e generare utili il più alti possibili.  E come si fa ad avere un investimento così remunerativo? Basta farlo grande! Più grande del necessario!

In una semplice logica economica non fa una piega: più è grande l’impianto, maggiori sono le economie di scala.  Ma in una logica di bene comune e di servizio alla comunità, il criterio di scelta non può essere la remunerazione del capitale investito: il “nostro” capitale è l’ambiente in cui viviamo.

La provincia di Pesaro e Urbino attualmente produce circa 46 mila tonnellate all’anno di scarti che potrebbero essere trattati dal nuovo biodigestore (media 2015/2017 presente nello studio fattibilità ASET).

I progetti presentati sono, invece, dimensionati su oltre 100 mila tonnellate all’anno, più del doppio rispetto alle nostre esigenze.

E non ci sembra assurdo pensare che le 50 mila tonnellate in più arriveranno da altre province: anche ipotizzando 10 tonnellate a camion, stiamo parlando di una fila di 5.000 camion di rifiuti: una processione lunga almeno 50 km che si aggiunge a quella che dovranno trasportare i nostri rifiuti e le nostre potature fino all’impianto.

Lasciando in secondo piano (ahi noi!) la questione etica di mandare in biodigestione gli sprechi alimentari risorse alimentari ancora utilizzabili, la vera questione è il sovra-dimensionamento dell’impianto:

  • dietro la produzione di energia, si legittima la produzione di rifiuti organici e potature se non addirittura di colture dedicate;
  • la continua ricerca di “nuova materia” da trattare ogni giorno non può che disincentivare il compostaggio aerobico che la nuova Legge Regionale cercava di favorire nelle forme dell’autocompostaggio e del compostaggio di prossimità.

Ma allora le domande che poniamo sono queste:

  • perché non viene reso pubblico lo studio di fattibilità dell’impianto di Marche Multiservizi?
  • se le aziende di servizi gestiscono un servizio pubblico, perché l’unico criterio di valutazione del progetto è il profitto e non si tiene conto delle esigenze della comunità che deve servire?
  • perché il decisore politico non pretende la valutazione di ipotesi alternative, come ad esempio 2 impianti da 20/25 mila tonnellate, che avrebbero magari un ritorno dell’investimento nel lungo periodo, ma garantirebbero un impatto minore sotto molti profili?
  • E perché il Comune di Pesaro, capofila della compagine di enti locali che ha la maggioranza di Marche Multiservizi, non svolge il proprio ruolo facendo venire meno la propria responsabilità politica di indirizzo?

Pesaro, 20 ottobre 2020

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