Una nuova fase per l’approvvigionamento idrico della provincia? Per essere credibili serve molto di più.

La notizia di una nuova apertura del Pozzo del Burano,  per verificare la  funzionalità della testa pozzo, offre la possibilità di riaffrontare una delle questioni più rilevanti per le popolazioni che vivono i territori di questa provincia: la condizione e la gestione delle risorse idriche.

Sulla materia incidono, come per molte altre situazioni , diversi fattori: la quantità e la qualità delle risorse disponibili, la cura del territorio, la capacità di programmazione e progettazione, la capacità politico amministrativa, la gestione del Servizio Idrico Integrato, le politiche agricole e industriali e infine il comportamento di una popolazione spesso ignara di quanto sta accadendo e spesso  colpevolmente complice di un processo degenerativo che costringe allo sfruttamento di nuove falde e che, prima o poi, porterà al razionamento delle forniture.

In questi anni si è discusso molto sull’opportunità di continuare ad approvvigionarsi da falde freatiche piuttosto che da quelle artesiane come già fanno gran parte delle altre provincie italiane. A questa condizione è stato  sovente collegato il cattivo stato dei fiumi (in estate spesso  ben sotto la soglia del Deflusso Minimo Vitale)  e  una tariffa del SII  tra le più alte d’Italia anche perché deve, purtroppo,  permettere ai gestori di fare utili. Sigh!!  Così, dopo lunghi anni di assoluta inerzia politico amministrativa, in cui nessuna programmazione è stata  fatta, gli anni 2000 hanno iniziato a caratterizzarsi per la comparsa di un minimo di attività decisionale.  Bene, verrebbe da scrivere , ma in realtà non tutte le ciambelle riescono con il buco e sull’argomento , a nostro avviso, di errori ne sono stati commessi molti. Chiariamo subito: nonostante molti amministratori succedutisi in questi anni abbiano fatto di tutto per svilire le istituzioni che rappresentavano, esternalizzando servizi (privatizzando) e compromettendo la funzionalità di molti uffici, anche regionali, le professionalità tecniche, nel pubblico, non mancano. Peccato che siano state spesso orientate verso la ricerca di soluzioni rapide e semplici. Nessuno è contrario a che si studi il territorio, anzi lo studio è doveroso, siamo invece contrari a che si sfruttino nuove fonti di approvvigionamento ancora prima di aver affrontato seriamente i due nodi principali della questione idrica: risparmio della risorsa e contenimento degli sprechi. Ogni volta che, in fase di crisi idrica conclamata, un comune non emette l’ordinanza di divieto ad un uso improprio dell’acqua o manchi di controllare e perseguire le violazioni a tale disposizione, se emessa,  commette una leggerezza  che rischia di essere pagata a caro prezzo in termini di disponibilità della risorsa. Ogni volta che i piani di investimento degli Enti di Governo (ATO) mancano di affrontare la questione delle perdite delle reti acquedottistiche (35% circa del trasportato) in maniera decisa e risolutiva si creano i presupposti  perché l’emergenza si generi. Ogni volta che le istituzioni mancano di condizionare le politiche agricole affinché perseguano una maggiore sostenibilità idrica si obbliga a mantenere alti i livelli di adduzione della risorsa . Insomma, di strada da fare ce n’è ancora molta, quello che sembra non esserci è il tempo e…i cambiamenti climatici incombono.

LA LUPUS IN FABULA