foto di Emanuele Amatori, scattata nei pressi di Urbania (PU)

In queste ultime settimane le stragi di bestiame causate probabilmente da lupi sono state più volte oggetto di dibattito e richieste di chiarimenti. Ogni volta sono stati detti e scritti commenti piuttosto fantasiosi, spesso ci sono state imprecisioni: trattandosi di una materia delicata e complessa che coinvolge un bene privato come quelle zootecnico non bisogna commettere l’errore di farsi trasportare da una reazione smodata e istintiva, o finire per incorrere in luoghi comuni anacronistici e inutili. Serve competenza, serve una visione d’insieme del fenomeno, collocando i soggetti nei giusti ruolo, ognuno con le rispettive esigenze e il diritto di essere tutelati. La grande epocale sfida della convivenza con un grande carnivoro come il lupo è stata già vinta in molte parti del mondo e d’Italia: tutto è più semplice all’interno delle Aree Protette (Parchi, Riserve) perché gli indennizzi sono più adeguati e più rapidi, ma soprattutto perché in quei contesti il lupo ha tante prede selvatiche a disposizione e allo stesso tempo il bestiame è gestito correttamente, protetto dai cani e talvolta anche dai pastori, sistemato all’occorrenza in stazzi e insomma, in poche parole, sorvegliato. La combinazione che consente ai lupi di vivere nel modo in cui gli è più congeniale e al pastore di svolgere il suo nobile antico mestiere poggia su due requisiti essenziali: prede selvatiche (cinghiali, caprioli, daini, lepri) a disposizione in un territorio poco disturbato e gestione continuativa degli animali al pascolo.  Le recenti aggressioni al bestiame si sono registrate nelle campagne ma di questo non c’è da stupirci; i predatori del resto si muovono al seguito delle prede ed oltre a questo si sono concretizzate altre cause. Le pecore, che tra gli animali d’allevamento sono quelli maggiormente a rischio, non sono più allevate in montagna (dove prevalgono mucche e cavalli) ma ormai da trent’anni le si può trovare nelle medie colline, cioè in territori che con la crisi dell’agricoltura sono stati in buona parte abbandonati, dando tempo e spazio al sopravanzare della vegetazione naturale, fin anche quella arborea. Quindi le colline si sono rimboschite, svuotate di persone e popolate di pecore: quando queste ultime sono senza controllo o rinchiuse in recinti non adatti, per il lupo il banchetto è servito. Nel frattempo la Regione e la Provincia lasciano che le prede selvatiche le uccidano i cacciatori: la mattanza indiscriminata del cinghiale ad esempio sottrae tutti quegli individui giovani che sarebbero, come sono altrove, la prima preda del lupo; anche gli erbivori reciterebbero il loro ruolo di prede per cui i 1.952 caprioli e i 162 daini che l’Ufficio Caccia della Provincia fa abbattere anche quest’anno altro non sono che 2.114 prede in meno per i lupi. Le stragi di pecore compiute dai lupi a volte stupiscono e fanno rimanere comprensibilmente sconvolti e arrabbiati coloro che ritrovano numerosi animali uccisi e non mangiati, increduli di fronte a questa apparente inutile crudeltà. Ma c’è una spiegazione anche in questo comportamento, già ampiamente studiato e documentato: i lupi, inseriti in un contesto per loro inusuale, sconosciuto e ostile (perché avvertono la potenziale presenza dell’uomo) entrano in uno spazio limitato da recinti che non permettono alle prede di fuggire innescando una situazione di caos per loro, come per le pecore, stressante e eccitante al tempo stesso. In questo vortice di fughe e inseguimento il lupo uccide istintivamente e neanche consuma il risultato della propria caccia, se non in minima parte: questo perché, pur cercando di trascinare le carcasse in un luogo più familiare incontra l’ostacolo delle recinzioni, oppure interviene qualche fattore esterno di pericolo incombente e scappa. E allora non si parli di lupi cattivi, feroci e famelici: il lupo fa allo scoperto quello che noi umani facciamo al chiuso dei mattatoi, e se contiamo le predazioni lupesche sul bestiame in Italia e le confrontiamo con il consumo di carne della popolazione italiana le proporzioni dicono che per un capo ucciso dai lupi, per “noi” ne vengono uccisi circa 500.000.