Caccia al cinghiale tutto l'anno:
riflessioni del naturalista Andrea Pellegrini

Consentire la caccia al cinghiale tutto l'anno è un provvedimento di una gravità assoluta, il punto più basso raggiunto dalle politiche ambientali in questa regione. Un atto che non solo le associazioni ambientaliste ma tutta la popolazione estranea a questi giochetti di potere deve contestare fortemente, ricorrendo anche alle vie legali. Un regalo di Natale ai cacciatori, come se se lo meritassero dopo una stagione venatoria costellata di morti e feriti, di bracconaggio e soprusi e minaccie ai comuni cittadini che hanno la sciagura di vivere in zone dove questi uomini armati prendono possesso d'ogni cosa. La solita politica di basso livello culturale, legata alle strategie lobbistiche, agli interessi personali (diversi politici sono cacciatori), farcita di ignoranza voluta o indotta, e di incompetenza. Far cacciare il cinghiale tutto l'anno è quello che i cacciatori sognavano, quando hanno introdotto questo ungulato; come si può pensare che sia la soluzione per il problema, pur grave, dei danni all'agricoltura? Un problema va affrontato alla radice, nelle sue cause, non nei suoi effetti.
Il problema cinghiale è costituito, creato e garantito dalla stessa caccia al cinghiale, perché é ovvio che non è nell'interesse dei cacciatori eliminarli. C'é il problema delle coltivazioni? Si intervenga su quel settore, in quei distretti, a partire dal controllo delle attività delle squadre di caccia al cinghiale che siccome hanno assegnata loro una determinata zona, se di cinghiali non ce ne sono abbastanza o se li ammazzano tutti, l'anno dopo probabilmente ne reintroducono altri, e qualcuno di porta pure da mangiare, in modo che li restino. Questo sistema é noto a tutti, a partire da chi ha la responsabilità politica a livello territoriale, cioé il Presidente della Provincia Ucchielli. Nella delibera della Regione, dove certamente ha messo lo zampino l'Osservatorio Faunistico (capeggiato guarda caso proprio dalla Provincia di Pesaro e Urbino), non c'è nessun riferimento alla causa del problema, mentre invece si sono elencati gli effetti della presenza del cinghiale divagando su materie come il dissesto idrogeologico, i danni ai boschi e ai pascoli, con congetture ridicole e asserzioni senza nessun fondamento scientifico. Come se di fronte ad una decisione così pesante e drammatica per gli ambienti naturali, occorresse attaccarsi a più cose possibili. Autorizzare le scorribande dei cacciatori di cinghiale per tutto l'anno fa tornare le Marche indietro di qualche secolo, ai tempi delle Riserve di Caccia dei nobili, ma stavolta ci andranno in 15 mila, devastando delicatisssimi equilibri ecologici, in barba ai diritti di tutti gli altri cittadini, stringendo d'assedio anche in primavera ed estate intere valli, intere montagne, senza scampo per il turismo e gli sport della montagna. Le ricadute economiche di questa pazzia marchigiana saranno ingenti, colpendo le strutture ricettive che hanno puntato sull'ambiente, colpendo le professioni turistiche. Ci rimetteranno anche gli agricoltori che ingenuamente hanno perseguito questo risultato: il problema cinghiale si risolve solo con i controlli agli allevamenti e la turnazione delle squadre, perché senza nuove reintroduzioni sono già più che sufficienti i 3 mesi di caccia al cinghiale per farne diminuire il numero. Si può anche affrontare il problema del cinghiale nelle aree protette, in modo serio e scientifico, progettando metodi bio-ecologici, in grado di sostituire quelli cruenti. Prima però deve cambiare il sistema, deve terminare quel senso di impunità che ha praticamente concesso in uso esclusivo ai cacciatori di cinghiale colline e montagne. Mancano i soldi per risarcire dei danni provocati da questi animali: perché non si inizia a chiederli a chi li ha introdotti?

Nella foto: quel che succede normalmente quando i borghi di montagna vengono stretti d'assedio dalle battute al cinghiale...

Andrea Pellegrini Naturalista

Dicembre 2008

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