UN MONDO IN BOTTIGLIA

 

Che l’acqua sia una risorsa importante è argomento scontato. Che si sia disposti a pagare per averne in quantità è prassi comune. Ma forse dovrebbe destare qualche riflessione fino a che punto l’acqua abbia smesso di essere “elemento” ed abbia cominciato ad essere “bene di consumo”.

Sulle nostre tavole, o meglio, sulle tavole dei paesi ricchi, le acque in bottiglia sono ospiti fissi. Non solo: dalle scrivanie degli uffici alle borse da palestra, le bottiglie o bottigliette di acqua sono nostri compagni inseparabili. I consumi di acque imbottigliate hanno raggiunto oggi livelli che un tempo sarebbero risultati inimmaginabili: anche perché la reale necessità di acqua potabile sarebbe colmata, nella maggioranza dei casi, dalle forniture acquedottistiche. Cosa spinge il consumatore medio, cosa ci spinge a fare uso di acqua in bottiglia? Chi c’è dietro il mercato delle acque minerali? E soprattutto: che significa, in termini ambientali, questo uso sfrenato di acque in bottiglia? Un rapido sguardo al mondo delle acque minerali, può forse darci una mano a capirci qualcosa in più.

 

In bottiglia o dal rubinetto?

Spesso siamo portati a pensare che l’acqua in bottiglia sia più sicura, più buon, più controllata di quella del rubinetto. Leggendo con attenzione la normativa, e soffermandoci con attenzione sulle etichette di alcune marche, si può scoprire che non sempre questo è vero.

Se si confrontano i parametri che caratterizzano un acqua minerale con quelli dell’acqua di rete, spesso si scopre che la qualità non è privilegio indiscusso delle acque minerali. Nella tabella che segue, vengono confrontati i valori di alcune famose acque minerali con quelli dell’acqua distribuita nell’acquedotto di Fano.

 

Parametri

Acqua di Rete (Fano)

Ferrarelle

Lete

San Benedetto

Alpi Bianche (Auchan)

Acqua Conad

Residuo fisso (mg/)

426

1279

915

250

49

204

pH

7.6

6.1

6.09

7.68

7.5

n.i.

Conducibilità mS/cm

594.8

1740

1335

400

85.0

n.i.

Cloruri (mg/)

35.8

23

7.64

2.8

n.i

5.3

Nitrati (mg/)

11

5

4.20

6.8

assenti

2.4

Solfati (mg/)

77

6

8.65

4.9

9.0

2.2

Calcio (mg/)

84

380

321

46

14

71

Magnesio (mg/)

19.8

21

17.5

30

n.i.

1.0

 

n.i. = non indicato in etichetta

 

la concentrazione di nitrati è più elevata nell’acqua di rete che in quelle minerali prese in esame ma rimane comunque abbondantemente al di sotto dei limiti di legge (50 mg/l). Anche i cloruri risultano avere una concentrazione superiore rispetto alle altre acque: questo è dovuto principalmente al cloro usato per la depurazione batteriologica dell’acqua, che poi è il motivo per cui l’acqua del rubinetto ha spesso un odore pungente e niente affatto gradevole. In questo caso è importante ricordare che il cloro è un elemento “volatile”, cioè in presenza di luce tende a sciogliere i legami chimici che lo trattengono in acqua e a “volare”. Se proviamo a lasciare l’acqua del rubinetto in una brocca per qualche minuto avremo un acqua con un tenore di cloro più basso e un odore più gradevole!

Per il resto, i parametri dell’acqua di rubinetto non sfigurano rispetto a quelli delle mineali. Almeno per quello che appare in etichetta. Sebbene sia le acque potabili che quelle minerali siano destinate al consumo umano, la loro qualità è disciplinata da due leggi diverse e con diversi contenuti. Il D.Lgs.31/2001 disciplina le acque potabili, mentre per le acque minerali i valori limite e i parametri di controllo sono stabiliti dal Decreto del Ministero della sanità 542/1992. Un rapido confronto ci permette di notare che per alcuni contaminanti (ovvero sostanze inquinanti che è possibile trovare nell’acqua) è previsto un limite di concentrazione per le acque di rubinetto ma non per quelle in bottiglia: stiamo parlando, ad esempio, del benzene, del benzo(a)pirene, del nichel o dell’ammonio. Per altri contaminanti, invece, il limite nelle acque in bottiglia è di molto superiore a quello dell’acqua di rete; è il caso dell’Arsenico, consentito in concentrazione massima di 10 mg/l nelle acque di rete e in ben 50 mg/l per le acque in bottiglia.

Un altro discorso legato alla sicurezza delle acque minerali in rapporto alla salute umana e il loro trasporto in contenitori di plastica. Il PET è il tipo di plastica più diffuso nel confezionamento di acqua minerale; è adatto al trasporto di alimenti e pertanto considerato “sicuro”. Questo è vero in condizioni di temperatura“normali”. A temperature relativamente alte (quali quelle che possono essere raggiunte, ad esempio, in una torrida giornata di agosto in una qualsiasi città italiana) la “stabilità” della plastica (ovvero la garanzia che non rilasci sostanze nell’acqua) non è più scontata. Questa preoccupazione è avvalorata dalle numerose sentenze delle Corti di Cassazione che negli ultimi anni si sono pronunciate contro i distributori o i rivenditori che lasciavano contenitori di acqua al sole.

 

Il mercato delle acque minerali

Quello delle acque minerali è un mercato in espansione che coinvolge numerose compagnie: già nel 1992 negli Stati Uniti erano presenti 700 marche e tale dato è ad oggi in crescita, negli U.S.A. come nel resto del mondo. La maggior parte delle compagnie di acque minerali si sta unendo in grandi gruppi o, più spesso, finisce sotto il controllo delle maggiori multinazionali, in particolare Nestlé o Danone.

La Nestlé è la numero uno nel mercato mondiale di acque minerali : il settore “acque in bottiglia” rappresenta per la Nestlé circa il 25% del settore bibite ed il 7% del tournover totale del gruppo. La “world water division” della Nestlé, la Terrier- Vittel SA (quartier generale in Francia) possiede marche ben conosciute in 17 paesi, come Perrier, Contrex e Vittel (Francia), Arrowhead, Poland Spring, Calistoga (Stati Uniti), Buxton (Inghilterra), Fürst Bismarck Quelle, Rietenauer (Germania). Tra le marche che fanno capo alla Nestlè e che arrivano anche in Itala troviamo Claudia, Giara, Giulia, Lievissima, Limpia, Lora Recoaro, Panna, Pejo, Terrier, Pracastello, San Bernardo, San Pellegrino, Sandali, Tione, Ulmeta, Vera.

La Danone controlla il 9% del mercato mondiale delle acque minerali, superando la Nestlé in alcune regione quali l’America Latina e l’area Pacifica dell’Asia. Le sue marche maggiori sono l’Evian, La Volvic (n°3 nel mondo con 937 milioni di litri venduti nel 1999) e Badoit.

La marca di acqua minerale più venduta nel mondo è l’Evian, con 1441 milioni di litri venduti nel 1999 in 130 paesi. In Italia le marche controllate dalla Danone sono Acqua di Nepi, Boario, Evian, Ferrarelle, Fonte Viva, Natia, Santagata e Vitasnella.

Nell’ultimo decennio, hanno fatto il proprio ingresso nel mercato delle acque minerali anche le multinazionali delle “soft dinks” ed in particolare Coca Cola e PepsiCo. La Coca-Cola ha lanciato nel mercato nel 1999 la BonAcquA: attualmente questa marca è al nono posto della classifica delle acque più vendute negli USA.

Acquafina è la marca lanciata dalla PepsiCo nel 1995 negli USA e ha attualmente un tournover di 600 milioni di dollari. Una curiosità: sebbene il marchio Acquafina rappresenti delle belle e pure montagne stilizzate, attualmente l’acqua deriva dalle reti municipali di 11 differenti città e paesi degli Stati Uniti.

 

Il mercato mondiale di acqua in bottiglia riguarda un volume annuale di 89 miliardi di litri, che corrisponde ad una media di 15 litri di acqua in bottiglia bevuti annualmente a persona. L’Europa dell’ovest è la maggior consumatrice, bevendo da sola quasi la metà del totale mondiale di acqua in bottiglia, con una media di 85 litri/persona/anno. E tra gli europei, proprio noi italiani beviamo più acqua in bottiglia di tutti: in media 107 litri annui per abitante, e tali consumi stanno subendo una crescita esponenziale.

 

Costi e concessioni

Che i mercati mondiali seguano meccaniche di difficile comprensione per i non addetti ai lavori è un fatto noto. Ma lascia comunque un po’ perplessi scoprire a quali paradossali risvolti pratici si può arrivare. E se non fosse un fatto preoccupante nella sua gravità, verrebbe quasi da sorridere nello scoprire che negli Stati Uniti d’America un litro di acqua minerale costa più di un litro di benzina: un bene primario, l’acqua, (diritto fondamentale in quanto basilare per la vita) ha un prezzo economico più alto di quello di un bene “secondario”, il petrolio (che per quanto importante non è imprescindibile per vivere). Eppure i costi di produzione delle acque minerali sono estremamente bassi: produrre un litro di acqua costa solo pochi centesimi di euro mentre lo stesso prodotto è venduto nei supermercati a più di un euro.

La cosa forse più scandalosa, che sta alla base dell’immensa speculazione delle acque minerali, è il canone irrisorio che le ditte delle acque minerali (sempre più spesso multinazionali) devono pagare agli enti pubblici per lo sfruttamento delle sorgenti. Sempre agli enti pubblici, e quindi alla collettività, sono poi scaricati gli oneri connessi all’imbottigliamento (primo tra tutti, in termine di costo economico, quello dello smaltimento delle bottiglie di plastica).

In Lombardia i produttori pagano in media l’acqua minerale 0.001 centesimi di € al litro contro una spesa che la Regione deve sostenere per smaltire la plastica di più di 2 milioni di € annui. Per fare alcuni esempi, la Nestlè pagava, nel 2001 68 milioni di vecchie lire per le concessioni Lora e Lizzarda (una cifra irrisoria, che non ripaga neanche i costi che la Regione deve sostenere per rilasciare queste concessioni), la Ferrarelle in Campania paga 981 mila lire all’anno, la San Benedetto in Abruzzo 1 milione e 75mila lire, l’acqua Lete a Caserta sborsa annualmente l’equivalente di 111 mila lire. Alcune amministrazioni regionali hanno provato a chiedere qualcosa di più. Veneto e Lombardia, ad esempio, hanno provato a chiedere di mettere una lira al litro: ma la proposta è stata bocciata dal Commissario di Governo in quanto “non in linea con i Regio Decreto del ’27...”1. Regio Decreto del 1927: ebbene sì. Questa è la normativa che, ancora oggi, disciplina le concessioni di acque minerali. Dal 1927 (e cioè da un tempo in cui le acque minerali “in bottiglia” erano destinate solo alle cure termali e a pochi altri privilegiati) a oggi (9 miliardi di litri di acqua minerale in bottiglia bevuti in Italia solo nell’anno 2000) solo poche modifiche sono state fatte:

-        Una variazione sulla durata delle concessioni (DPR n.620 del 1955)

-        Il passaggio de regime di concessioni dallo Stato alle Regioni (DPR n.616 del 1977)

-        Modifiche sul costo delle concessione (nei limiti degli esempi sopra enunciati)

 

I risvolti ambientali

“L’imballaggio fa la marca. La marca fa l’imballaggio. Un prodotto deve avere visibilità per vendere, la sua presentazione deve fare venire in mente nozioni come buon servizio, sicurezza, igiene” (Miquel, 1999). Le bottiglie di acqua stanno diventando un oggetto estetico, che può essere collezionato. I maghi del marketing devono vendere un “prodotto”, l’acqua appunto, che è normalmente alla portata dei potenziali acquirenti, ad un costo di gran lunga minore. Come convincere la gente all’acquisto? Semplice: quello che si vende non è solo “acqua”, ma un prodotto completo, capace di guarire da mali reali o immaginari, in grado di rendere più belli, più magri o più alla moda; la bottiglia di acqua minerale, da semplice bene diventa un “logo”, un oggetto di moda, uno status symbol.

Ma il cristallino mondo delle acque minerali, presentato dalla pubblicità come scintillante di limpida purezza, nasconde in realtà non pochi riscontri negativi sull’ambiente.

In che modo? Semplice. Nel momento esatto in cui l’acqua- la bottiglia di acqua minerale- smette di essere un elemento necessario alle normali funzioni fisiologiche, un qualcosa da assumere per vivere - un liquido da bere, insomma - e diventa un oggetto commerciale, viene persa completamente la prospettiva dell’elemento naturale. In questo modo, la forma e i colori dell’”involucro” (bottiglie o altro) assumono un’importanza predominante rispetto alla produzione di rifiuti e al consumo di energie che ne deriva. O ancora, in questo modo, non risulta strano bere acqua proveniente da distanze di centinaia di chilometri (tant’é che raramente ci si domanda da dove viene l’acqua delle bottiglie sulla nostra tavola, se non per pura curiosità).

Ancor meno ci si chiede se la captazione di acqua dalla falda di origine sia stata effettuata correttamente, senza creare scompensi agli ecosistemi.

Tali affermazioni possono sembrare, a prima vista, eccessive, ma bastano i pochi dati forniti proprio dal mercato delle acque minerali, per capire la gravità della situazione.

 

Gli “imballaggi” per l’acqua minerale sono, come già accennato, parte integrante del prodotto stesso: con colori, forme e materiali sempre più fantasiosi, spesso permettono di identificare una marca già a prima vista. Per un lungo periodo di tempo, le uniche bottiglie di acqua che si potevano trovare in vendita erano di vetro: un materiale ottimo, ma pesante. Alla fine degli anni ’60 si è iniziato ad usare PVC (policloruro di vinile), per arrivare, negli anni ’80 ad un nuovo tipo di plastica : il PET (polietilene terftalato) che sta progressivamente rimpiazzando il PVC. Attualmente la plastica, sia PVC che PET, è il materiale più frequentemente usato: circa il 70% delle bottiglie di acqua minerale sono fatte in plastica. Considerando che una bottiglia di PET pesa circa 25g/ litro, che nel mondo vengono consumati 89 miliardi di litri di acqua in bottiglia e che il 70% delle bottiglie di acqua minerale è in plastica, ne deriva che ogni anno vengono utilizzati 1,5 milioni di tonnellate di plastica per creare bottiglie di acqua minerale.

Inoltre, l’assenza di modalità di imballaggio più compatibili con l’ambiente fa si che altri rifiuti ancora si accumulino nel ciclo di produzione (si pensi solo alla plastica utilizzata per avvolgere il pacco- generalmente da 6 bottiglie da 1.5 litri- normalmente in vendita nei negozi).

La fabbricazione e l’eliminazione delle bottiglie e degli imballaggi possono portare alla formazione e alla liberazione nell’ambiente di sostanze chimiche tossiche o pericolose.

Il riciclo della plastica delle bottiglie di acque minerali e di altre bibite analcoliche è un processo difficile e costoso a causa del poco valore commerciale della materia seconda e dello scarso peso del rifiuto, in rapporto al volume. Così in molti casi le bottiglie recuperate attraverso la raccolta differenziata prendono la strada degli inceneritori, i quali possono creare problemi ambientali seri a causa dell’acido cloridrico, delle diossine  e dei metalli pesanti che possono essere rilasciati dal processo di combustione. Inoltre, oltre un terzo in peso del rifiuto bruciato rimane sotto forma di ceneri, in cui si concentrano altri composti tossici, non emessi con i fumi. Un problema enorme, poi, sono i milioni di bottiglie abbandonate nell’ambiente, gettate nei corsi d’acqua e nel mare: durano migliaia di anni e quindi costituiscono un forte elemento di degrado, ma anche di pericolo di morte per alcuni animali (come i delfini).

Gli imballaggi non producono solo rifiuti: consumano anche energia. Per produrre PET vengono richiesti 5,9 GJ per 1000 litri. 8850 GJ per la produzione annua mondiale. I consumi salgono per la produzione di bottiglie di vetro (13,7 GJ per 1000 litri).

E per continuare, i meccanismi di mercato fanno si che la maggior parte degli 89 miliardi di litri di acqua imbottigliata ogni anno nel mondo viene bevuto l’ontano dal luogo origine (addirittura 1/4 del totale al i fuori del Paese in cui viene prelevata e imbottigliata): il trasporto interno e l’esportazione delle acque danno un ulteriore contributo all’inquinamento in atmosfera. Solo per fare alcuni esempi, la Volvic (gruppo Danone), un acqua minerale prodotta in Francia, è l’acqua minerale più venduta in Germania, la n°1 per le importazioni in Giappone, Taiwan e Tailandia e la n° 2 per Inghilterra e Irlanda. O ancora, la “Tallians", prodotta in Italia, è sconosciuta nel nostro Paese ma è tra le più vendute in Francia. Il trasporto delle acque minerali qua e là per il mondo ha, inutile dirlo, impatti negativi sull’ambiente, soprattutto in relazione al consumo di combustibile e all’emissione di particolato nell’atmosfera. Tale impatto non è di facile identificazione, in quanto devono essere stimati diversi fattori, come ad esempio il tipo di trasporto usato (camion, treni, auto private…), l’età e il modello del mezzo di trasporto (vecchi camion diesel o veicoli più recenti a combustibili sa minor impatto), la distanza del viaggio (produttore-intermediari-consumatore o produttore- intermediari- grossisti- consumatore), la zona di distribuzione (aree urbane, aree rurali…), ecc.

In ogni caso, per quanto variabile, anche questo tipo di impatto non deve essere sottovalutato

Un problema spinoso e di difficile valutazione legato alle acque minerali è quello legato alla captazione. Si vorrebbe poter pensare che le ditte imbottigliatrici effettuino il prelievo con tutte le precauzioni necessarie. Lo si vorrebbe credere, sinceramente… Ma la realtà delle cose, spesso ci presenta situazioni differenti. Un esempio per tutti. A Riardo, in Campania, la popolazione subisce il razionamento dell’acqua dopo che la sorgente locale è stata data in concessione: la Ferrarelle (gruppo Danone) imbottiglia due milioni di litri al giorno, mentre 2'500 abitanti rimangono a secco; un classico esempio di penuria causato dallo sfruttamento commerciale di una risorsa collettiva(2).

 

 

 

Cosa fare allora?

Quello delle acque minerali è un fenomeno che riguarda tutto il mondo: un problema culturale e sociale, prima ancora che ecologico.

E’ il comportamento del cittadino che fa muovere il mercato delle acque minerali a questi ritmi. Spesso poi, il fatto di bere solo (o prevalentemente) acque minerali non è dettato da reali necessità ma da semplici abitudini.

Qualcosa possiamo fare: possiamo cambiare alcuni semplici comportamenti può aiutare a frenare il dannoso meccanismo delle acque minerali. Ad esempio possiamo:

¨      Bere abitualmente acqua del rubinetto (ricordiamoci del “trucco” di lasciar evaporare il cloro per renderlo più gradevole)

¨      Se proprio vogliamo (o dobbiamo) comprare acqua in bottiglia, assicuriamoci che provenga da fonti geograficamente vicine al luogo dove le consumiamo

¨      Cerchiamo di acquistare acqua in confezioni grandi (un imballaggio da due litri ha bisogno di meno plastica e meno energia per essere prodotto e smaltito rispetto a quattro bottigliette da mezzo litro) o in bottiglie di vetro a rendere (così non creiamo rifiuti difficili da smaltire).

 

 

NOTE:

  1. I dati sono stati resi pubblici nella trasmissione televisiva “Report” del 1 marzo 2001.
  2. L’episodio è stato citato nella pubblicazione “Fuori i mercanti dall’acqua” di Marco Manunta (“Fuori i mercanti dall’acqua”- 2001)

 

 

 

 

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